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L’editoriale – Reddito di cittadinanza vs lavoro stagionale

La classica retorica che i giovani sono viziati o “choosy” (ricordate?) da rifiutare qualsiasi offerta di lavoro che non rispecchi l’occupazione dei loro sogni o che non hanno voglia di faticare preferendo percepire il reddito di cittadinanza è fuorviante e assolutamente ingiusta! 

Ultimamente leggo esternazioni di imprenditori critiche verso i giovani perché lamentano difficoltà per carenza di personale. Non credo che la mia sia una generazione di nullafacenti o di perditempo, piuttosto credo che oramai due conti in tasca riescano a farli non solo i cassieri di una banca.

Ho riscontrato, infatti, che sulle piattaforme dove si incrociano domanda e offerta, sono tantissimi i giovani che si candidano spontaneamente alle posizioni aperte che presentano condizioni dignitose. Ben vengano offerte lavorative serie! E la litania di alcuni datori che propongono sottobanco “contratti grigi”, con ore di lavoro non calcolate in busta paga e senza un giorno di riposo settimanale non è accettabile soprattutto perché rappresenta un ricatto al massacro che è giunto al capolinea. Anche un ingenuo capirebbe che il gioco non vale più la candela!

Certo, la parsimonia delle retribuzioni offerte da alcuni di essi viene giustificata da tasse o spese da sostenere e l’effetto domino che ne deriva ricade sempre sull’anello debole di questa fragile catena ovvero il dipendente. 

Sarebbe opportuno, dal punto di vista datoriale, richiedere con forza una politica di riduzione delle tasse sul lavoro – ahimè ancora troppo alte – per far sì che a tutti i lavoratori sia garantito il rispetto dei propri diritti ed evitare che questi siano scambiati per meri capricci.

I beneficiari del reddito di cittadinanza o della cassa integrazione sono cittadini che non vogliono certo pesare sulle spalle dei contribuenti ma neanche esser sfruttati per una “paga” non adeguata alle ore di lavoro svolte e all’impegno psico-fisico profuso.

Se prima della pandemia molto di noi conducevamo una vita con i paraocchi seguendo ritmi collaudati e rimandando al domani il resto, forse, uno dei pochi aspetti positivi che ci ha concesso questo stato di isolamento domiciliare forzato è stato un recupero della consapevolezza dell’importanza del tempo e della cura di sé e degli altri.

E, forse, questa irrinunciabile riscoperta ha posto una maggiore riflessione sull’opportunità di accettare o meno offerte poco entusiasmanti ed estremamente vincolanti. 

Orbene, l’introduzione di un sussidio mensile, come il reddito di cittadinanza, non ha affatto pareggiato i conti con l’incapacità della politica di leggere il preoccupante allarme lanciato dalle sigle sindacali negli ultimi decenni. E le varie misure messe in campo finora per consentire assunzioni agevolate non bastano: si pensi agli sgravi contributivi per le imprese a fronte di nuove assunzioni di giovani under 36, dalla defiscalizzazione agli incentivi per le donne passando per il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno e per il Bonus decontribuzione Sud.

L’idea, invece, di corrispondere tale “mensilità” di cittadinanza a un’impresa che possa, poi, trasferirla in capo al cittadino neo-assunto a mo’ di parziale salario a fronte dell’espletamento di un’attività che si appresta a svolgere per essa rappresenta la vera sfida.

D’altronde, la dignità del lavoro passa attraverso retribuzioni adeguate e ottenere una maggiore occupazione rappresenta la precondizione per rilanciare l’economia mediante i consumi. Il reddito di cittadinanza, dal canto suo, ha una funzione di protezione e non è di ostacolo al mondo del lavoro finché a beneficiarne saranno le fasce emarginate della popolazione e non chi lo aggiunge egoisticamente al proprio lavoro sommerso.

Avv. Pasquale Di Fraia
Avvocato nel comparto bancario, presidente dell’associazione La PrimaVera Pozzuoli, è ambientalista della prima ora e cura le relazioni sindacali in azienda.

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