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L’editoriale – La città dei 15 minuti: l’importanza della vicinanza ai servizi essenziali

La campagna elettorale appena conclusa ha offerto molti spunti di riflessione e, tra questi, uno in particolare ha destato particolare curiosità: “la città dei 15 minuti”.
L’idea, tratta dal pensiero del professore d’urbanistica della Sorbona, Carlos Moreno, è di creare una città in cui il cittadino abbia tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, divertirsi e lavorare a meno di 15 minuti a piedi, o al massimo in bici. Negozi, servizi, ma anche posto di lavoro a circa un
chilometro di distanza. Sarebbe fantastico! E la ratio è migliorare la qualità della vita, atteso che la vicinanza ai servizi essenziali porta benefici per la salute ma anche e soprattutto sul piano economico e ambientale.

Infatti, grazie al tempo risparmiato negli spostamenti si potrebbe ridurre sensibilmente lo stress, dedicarsi ad altri interessi e ridurre significativamente le emissioni provocate dal trasporto su gomma.
Lasciando agli esperti l’analisi urbanistica sulla fattibilità di future trasformazioni delle nostre città, con tutti i vincoli che si incontrano, piani regolatori mai compiuti e abusivismo dirompente perfino nei centri storici, sarebbe opportuno lavorare su una progettualità strutturale capace di mostrare una maggiore funzionalità di ogni zona di insediamento demografico e creare condizioni più favorevoli alla vita e alle attività produttive necessarie a soddisfare bisogni specifici. 

Una rigenerazione urbana che, però, richiederebbe tempi lunghi nonostante i bonus e i superbonus del momento per garantire prossimità ai servizi essenziali e, dunque, quale sarebbe l’alternativa più rapida e possibile da realizzare? Va premesso che il cambiamento urbanistico, suggerito dalla città dei 15 minuti, non è un modello facilmente esportabile fuori da metropoli come Parigi o Barcellona che già vantano quartieri strutturalmente predisposti; la maggior parte dei comuni italiani, purtroppo, deve fare ancora i conti con servizi inadeguati o insufficienti. E men che meno lo sarebbe per motivi culturali legati alle abitudini di vita consolidate. Sarebbe opportuno, a mio parere, affrontare preliminarmente il nodo trasporti in relazione alla densità della popolazione di alcune realtà.

Infatti, rispetto a città all’avanguardia come la capitale francese, per cui l’idea è nata probabilmente per avvicinare i servizi ai cittadini, in Italia il concetto è praticamente invertito nella misura in cui sono i cittadini a dover seguire i servizi e non viceversa. È presumibile pensare, dunque, che sia la mobilità il nodo da sciogliere e che il suo miglioramento possa sortire effetti tangibili sulle scelte dei cittadini? Esempio lampante è Milano con il suo sistema di trasporti su ferro che spacca il secondo. Molti studi dimostrano che se i trasporti sono efficienti i cittadini non hanno difficoltà ad allontanarsi per motivi lavorativi o di consumo magari rimanendo in prossimità della propria abitazione solo per quanto concerne scuole, ospedali e, in generale, servizi essenziali. Evidentemente, poi, man mano che ci si allontana dal centro la problematica si acuisce. Nelle periferie, infatti, l’accessibilità ad attrezzature sportive, sistema sanitario, strutture culturali risulta più complessa rispetto a ciò che offrono i centri abitati. 

Un’auspicabile implementazione della città dei 15 minuti, anche sulla scorta di orientamenti normativi degli anni ‘60 con cui si destinava alla popolazione una dotazione minima di standard urbanistici, tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, non è in contrasto col potenziamento delle reti di trasporto tra quartieri. Anzi, favorendo una crescente interconnettività, un piano della mobilità ben studiato massimizzerebbe le opportunità di crescita economica delle città con una più rapida circolazione di persone, merci e idee, perché è indubbio che i servizi hanno un impatto notevole sulla qualità dei luoghi e sull’opportunità di fare turismo.

La mobilità integrata è la sfida cruciale su cui le città sempre più popolose dovranno misurarsi con serietà e lungimiranza per accorciare il gap tra centro e periferie e consentire a tutti di essere vicini a luoghi di interesse necessari come scuole, alimentari od ospedali o, almeno, scongiurare, ancora nel 2021, assurde odissee per tornare a casa o per arrivare in centro, magari poco distante, a causa delle carenze del sistema di trasporto locale. L’impegno verterà sul contrasto alle discriminazioni non solo legate al sesso, alla razza, alla religione e quant’altro, ma anche al territorio di appartenenza al fine di garantire a tutti noi le stesse opportunità dei cugini francesi e non avere più cittadini di serie A e di serie B.

Avv. Pasquale Di Fraia
Avvocato nel comparto bancario, presidente dell’associazione La PrimaVera Pozzuoli, è ambientalista della prima ora e cura le relazioni sindacali in azienda.

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